Psiche e redenzione

Siegmund Hurwitz, psicoterapeuta e studioso del misticismo occidentale, affronta in questa raccolta di saggi il complesso tema della redenzione dal punto di vista della psicologia junghiana, ricercandone cioè lo sfondo archetipico attraverso l'analisi di alcune peculiari esperienze sia collettive che individuali, come quella della emblematica vicenda del falso messia Shabbetày Tzevì. La tesi fondamentale dell'autore è chiaramente espressa nel sottotitolo del terzo saggio ( L'idea di redenzione nell'ebraismo e nel cristianesimo. Individuazione come via di salvezza): anche il cammino dell'individuazione può essere visto come una via di redenzione, ma «l'individuazione non è né‚ una nuova religione elitaria, né‚ un surrogato della religione. Il suo scopo è di mostrare all'uomo una via che conduca all'esperienza diretta del numinoso trasmettendogli un atteggiamento religioso». La convinzione di una profonda affinità fra l'esperienza religiosa, e mistica in particolare, e l'esperienza dell'inconscio porta Hurwitz, nel saggio Motivi archetipici nella mistica chassidica, a riprendere uno studio di Gershom Scholem, che rintracciava l'embrione di fondamentali concetti psicologici in opere di mistici ebrei di formazione cabbalistica, e ad approfondire l'analisi di quello che egli chiama il «doppio linguaggio», caratteristica del pensiero del grande Magghìd. L'ultimo saggio della raccolta ( Ahasvero: l'eterno viandante), dove proprio il peregrinare è visto come modello di redenzione, dimostra l'origine non ebraica di questa leggenda e individua nel mitologema dell'Ebreo errante un vero e proprio problema di Ombra collettiva dell'Occidente cristiano: «la condizione irredenta di ciascuno che per secoli è stata proiettata sugli ebrei».