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TALMUD BABILONESE - Trattato Sukkà (Capanna)

Prezzo libro: 65 € 61,75 € - 5%

A cura di Riccardo Shemuel Di Segni
Numero: 7
Pagine: 640
Legatura: Copertina rigida in tela e sovraccoperta
Anno di edizione: 2022
ISBN: 9788880579540

Il tema di questo trattato è la festa di Sukkòt. Questa festa, delle “capanne”, è la terza, dopo Pèsach e Shavu‘òt, delle tre feste di pellegrinaggio prescritte dalla Torà, È una festa che dura sette giorni. Nella sua istituzione biblica questa festa si caratterizza per due regole principali. La prima è quella della sukkà, la capanna: Nelle capanne (sukkòt) risiederete per sette gior­ni, ogni cittadino in Israele risiederà nelle capanne. Affinché le vostre generazioni sappiano che ho fatto dimorare i figli d’Israele nelle capanne (sukkòt) quan­do li feci uscire dalla Terra d’Egitto (Lev. 23:42). La regola della capanna consiste nell’obbligo di trasferirsi nei giorni della festa dalla propria abitazione in una abitazione temporanea. L’altra regola, quella degli arba‘à minìm, le quattro specie, è semplicemente prescritta ma non motivata: E prenderete per voi nel primo giorno il frutto dell’albero di bell’aspetto, rami di palma, ramo dell’albero dal fogliame fitto e salici di fiume, e gioirete davanti al Signore vostro Dio per set­te giorni (Lev. 23:40). La regola consiste nel prendere quattro specie vegetali, che la tradizione specificherà essere un cedro, un ramo di palma, due di salice e tre di mirto, e agitarle nelle giornate festive. Un’ampia tradizione successiva ha cercato di interpretare il senso di questa regola, che certamente si basa sul rapporto con il mondo vegetale e rappresenta l’unione di realtà differenti (che nelle varie interpretazioni simboliche possono essere le parti anatomiche di un essere umano, o le componenti di una comunità, o gli aspetti delle manifestazioni della realtà divina).
La festa di Sukkòt si colloca in un momento particolare dell’anno, anticipando l’arrivo della attesa stagione delle piogge, e chiude il ciclo agricolo annuale; nel suo simbolismo comprende un legame con la terra e l’agricoltura, e un richiamo storico generico al periodo della permanenza nel deserto. Quindi, per molti aspetti, sottolineati proprio dal simbolo della capanna, è il momento in cui si riflette sulla debolezza e sulla precarietà dell’esistenza. Ma quasi paradossalmente è proprio questa l’occasione di gioire e far festa, confidando nella protezione divina. Effettivamente, quando esisteva il Santuario e il popolo ebraico convergeva a Gerusalemme per Sukkòt, quello era il momento in cui si esprimeva la massima gioia collettiva intorno al Santuario, celebrando con particolare solennità il rito della libagione dell’acqua, propiziatorio dell’arrivo di una stagione feconda di pioggia. Inoltre, per prescrizione biblica, Sukkòt era la festa in cui si offrivano in tutto settanta tori, che nell’interpretazione rabbinica simboleggiavano i popoli della terra, dando alla festa un significato universale.
Di tutto questo si occupa il trattato Sukkà. Nel primo capitolo si parla della costruzione della sukkà: quali siano le sue dimensioni, altezza massima e minima, base minima, forma; quante pareti debba avere, se debbano essere complete o se bastino dei pali; come deve essere il tetto; se possa stare sotto a un’altra struttura o un albero; se si possa usare una sukkà fatta per scopi differenti dalla festa; con quali materiali si possa fare il tetto; se si possano consentire spazi vuoti e materiali non vegetali. Nella esposizione dell’argomento vengono introdotti alcuni principi legali antichi sulla gestione degli spazi vuoti. Da qui, per analogia, vengono fatti confronti con regole sulla gestione degli spazi nello Shabbàt. Il secondo capitolo continua l’esame delle regole sulla sukkà, con questioni legate alle modalità di costruzione; poi passa a discutere su come si debba adempiere l’obbligo, quanti pasti vadano consumati e di che tipo, e chi è esentato dall’obbligo. Nella parte finale, partendo da alcuni esempi pratici di comportamento si apre una trattazione aggadica che discute il significato dei segni astrali e le colpe che possono portare a determinate punizioni. Esaurito il tema della sukkà, nel terzo capitolo si espone il secondo precetto della festa di Sukkòt, quello delle quattro specie vegetali. Qui bisogna identificare quali siano le specie indicate, quanti rami o frutti debbano essere presi e di quali dimensioni, minime e massime; in quali condizioni fisiche debbano essere; se debbano essere di proprietà esclusiva o possano avere altre proprietà e origini; se debbano essere legate insieme o no; in che modo, dopo averle prese, si adempia il precetto. Con il quarto capitolo l’attenzione si sposta all’evocazione dei riti ai tempi in cui esisteva il Santuario, in che modo lo Shabbàt cambiava le regole, e cosa comportava il passaggio da Sukkòt all’altra festa nell’ottavo giorno, Sheminì ‘Atzèret. La fine del capitolo divaga sul tema della bontà e della tzedaqà. Il quinto e ultimo capitolo del trattato, relativamente breve, continua la narrazione di come veniva celebrata la festa di Sukkòt quando esisteva il Santuario: erano momenti di gioia speciale, notturna e diurna; la notte c’era una illuminazione straordinaria; di giorno una solenne processione accoglieva l’acqua che serviva per la libagione al suo ingresso nel Santuario, di cui si descrivono suggestivi particolari architettonici. Si parla dei sacrifici speciali che caratterizzavano la festa, e dei turni dei kohanìm che nella festa affluivano tutti al Santuario.
In conclusione, Sukkà è un trattato per molti aspetti tecnico, che si dedica all’esame di due regole essenziali, ma che ha anche un grande respiro storico con ricordi di vita vissuta al cuore dell’antica pratica religiosa ebraica, e che apre ogni tanto delle finestre narrative e aggadiche suggestive.    
       
   

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